Debito Pubblico Italiano

lunedì 5 dicembre 2011

Per alcuni sono spine, per noi sono Fichidindia.

I fichi d'India



I fichi d’India, o anche fichidindia, in linguaggio scientifico Opuntia Ficus Indica, sono prodotti da una pianta per noi tutta particolare, appartenente alla famiglia delle Cactacee, che come rami ha i cladodi, le pale, foglie carnose, irte di spine che si sovrappongono dando origine ad un arbusto, nel quale i rami sono costituiti dai cladodi stessi, che sviluppano anche la fotosintesi clorofilliana, vicariando in realtà la funzione delle foglie, che poi sono le spine, ed anche il tronco è costituito da cladodi basali legnificati dopo il quarto anno della pianta.
L’habitat originario era il Messico da cui tali piante, in epoca ancora precolombiana, erano state già diffuse anche in America Centrale. Le coltivavano già e ne facevano commercio gli Aztechi, considerando le piante e relativi frutti non solo di forti valori simbolici ma anche di grande importanza come alimento basilare della loro dieta: lo attesta il Codice Mendoza nel quale si afferma altresì l’importanza commerciale dell’Opuntia, allora come ora, indispensabile per la produzione del carminio, anch’esso elencato tra i beni commercializzati dalle medesime popolazioni.
In epoca successiva, ma sempre precolombiana, la diffusione si ebbe anche in America Meridionale: non è dato sapere quando ma lo si deduce dal fatto che gl’Incas lavorassero il carminio, la cui produzione ancora oggi è strettamente correlata all’Opuntia.
Queste cactacee fra la fine del 1400 e gl’inizi del 1500 furono importate in Europa sia da Cristoforo Colombo che da altri navigatori immediatamente successivi. La prima descrizione dettagliata risale al 1535 ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernandez de Oviedo y Valdès, mentre Linneo nel 1753 ne descrisse due differenti specie: Cactus Opuntia, e Cactus Ficus-Indica; Miller nel 1768 definì la specie Opuntia Ficus-Indica, come ufficialmente viene denominata a tutt’oggi.
Queste varietà di piante, come molte altre cactacee, attecchiscono bene e dovunque, per talea o per semina; per assicurarne la riproduzione è sufficiente interrare parzialmente una o due pale tratte dalla pianta madre; un po’ di acqua è richiesta nella sola fase iniziale; temono soltanto le basse temperature. Anzi, a voler essere precisi, esse attecchiscono e si diffondono fin troppo, entrando a far parte del paesaggio, come in Sicilia e a Malta, persino modificando lo stesso.
E' stata proprio quest’ultima motivazione ad indurre alcune regioni a limitarne la coltura che in Toscana è stata semplicemente vietata per effetto di una legge regionale.
Proprio in Sicilia infatti non è strano vedere, anche come limiti di poderi o barriere frangivento, lunghissimi filari di fichi d'India che vegetano da soli, non necessitano di cure da parte degli uomini né tampoco di interventi chimici: e questo particolare è di grande importanza, trattandosi dell’unico frutto che non sia mai sottoposto a trattamenti chimici; per migliorare la resa è sufficiente una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica.
In cima alle pale, a tempo debito, fioriscono i caratteristici fiori di colore giallo o arancione da cui si sviluppano i frutti, a botticella, ovoidali di forma, di color giallo o rosso o bianco o senza semi in base alla varietà, munititi di spine, i quali in fondo portano un’aureola di piccole spine, mentre la polpa, succosa e piena di vitamine, contiene numerosi semi legnosi.
Anche per la raccolta non c’è niente di tecnologico: si usano ancora i vecchi 'coppi' come al tempo dei nonni e degli altri avi. Nutrizionalmente parlando, il frutto contiene fosforo, calcio, Vitamina C e la polpa fresca è oltremodo ricca di zuccheri quali fruttosio, glucosio e saccarosio.

Ecco in sintesi, per concretezza di discorso, la Tabella dei Valori Nutrizionali considerata su un campione di 100 gr, tratta dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione - INRAN:

AcquaProteineLipidiCarboidratiFibraEnergiaSodioPotassioFerroCalcioFosforoVitamina C
g g g g g g Kcal mgmgmgmgmg
Fichi d'India 83,2 0,8 0,1 13 13 5 53 1190302518

In molte zone del Meridione, i fichi d'India vengono consumati freschi, come frutta di stagione, dopo che sono stati sbucciati e in Sicilia, al tempo della vendemmia, si accompagnano o si accompagnavano al pane in gustose colazioni e merende: l’accompagnamento è d'obbligo per evitare l’effetto tappo causato dai semi.
E' questo forse il punto dolente da chiarire: i fichi d’India come frutta vanno consumati in modeste quantità per volta, onde evitare la formazione di tappi dopo l’assorbimento della polpa.
Con la polpa concentrata e privata dei semi, specialmente in Sicilia, si prepara uno sciroppo, simile a quello di acero, da utilizzare nella preparazione di dolci tipici; e succhi simili con finalità similari vengono preparati anche in altre regioni. Né si può sottacere la 'sapa' di fico d’India, specialità sarda a base di succo cotto preparato anche con aggiunta di buccia d’arancia e di finocchio selvatico, usata un tempo dalla povera gente per inzupparci il pane ed oggi come ingrediente per la preparazione di dolci tipici o come sostitutivo della sapa di mosto.
Ultime, ma non per importanza sono le marmellate, mostarde, gelatine, gelati, dolcificanti e quanto altro. Ed anche le bucce trovano la loro utilizzazione: opportunamente ripulite e private delle spine, infatti, vengono lavorate nella creazione di creme liquorose e liquori, come ad esempio il 'nanassino', specialità tipica campana simile al 'ratafià', ottenuta anche in casa macerando le bucce in alcool, come anche alcune altre specialità di liquori siciliani.
E nel mondo contadino tutto torna utile, non si butta niente. Anche i cladodi trovano la loro applicazione: in Campania, oltre che per la pacciamatura, sono tradizionalmente utilizzati in zootecnia come foraggio di alcuni animali. In una cultura più mediterranea che italiana le pale giovani sono consumate fresche, sott’aceto, sott’olio, candite.
In Messico e in California, che poi sono le zone d’origine dei fichi d'India, anche la cultura culinaria è diversa: i frutti e le pale giovani, ripuliti delle spine, sono affettati e consumati arrostiti oppure conditi o anche fritti nel burro e accompagnati con formaggio; ma nella cucina di quelle zone vari sono i piatti che per materia prima hanno questi frutti.
In tema di proprietà terapeutiche è opportuno ricordare che in tempi pregressi i fichi d'India, per la loro ricchezza in Vitamina C, atta a prevenire lo scorbuto, venivano imbarcati sulle navi come frutta ad uso e consumo degli equipaggi; anche a tale consuetudine è dovuta la loro rapida diffusione nel bacino del Mediterraneo, non escludendo l’azione degli uccelli che, mangiando i frutti, andavano disperdendone i semi.
Oggi i frutti sono utilizzati come alimento con funzione astringente per la presenza dei semi, o lassativa, utilizzando il solo succo. Importanti sono altresì le funzioni depurative, anche a livello epatico, nonché quelle diuretiche: si facilita la diuresi favorendo nel contempo l’eliminazione dei calcoli renali; né di poco conto è l’impiego come rimedio alle scottature; eccellenti si rivelano poi le proprietà antiossidanti, molto efficace è l’estratto di fico d'India nella cura dei postumi della intossicazione alcolica. Recenti studi ne hanno evidenziato, infine, anche la possibilità di utilizzazione nel trattamento del diabete e del colesterolo.
Tanto premesso, però, per la presenza dei semi è opportuno che le persone sofferenti di stipsi o di diverticolosi intestinale si astengano dal consumo di questi frutti o ne limitino l’uso al solo succo.
I cladodi macerati vengono usati per alleviare mal di testa, mal di denti, lesioni degli arti e contusioni ma molti sono i preparati per alleviare un rilevante numero di malanni. I giovani cladodi infatti, riscaldati al forno, sono utilizzati come emollienti, applicati sotto forma di cataplasmi. Nella cultura contadina siciliana, secondo un antico rimedio, si applica la polpa dei cladodi direttamente su ferite o su piaghe con risultati antiflogistici, riepitelizzanti e cicatrizzanti.
Fiori, frutti e cladodi spesso, dunque, vengono utilizzati nelle ricette della medicina alternativa per la cura sia degli uomini che degli animali; il decotto di fiori vanta sempre le sue proprietà diuretiche.
Nel mondo industriale, come già al tempo degli Aztechi e degl’Incas, i cladodi costituiscono la base di allevamento del Dactylopius Coccus, la cocciniglia che parassita le pale, da cui si ricava quel pregiato colorante naturale che è il carminio. A niente purtroppo sono valsi i reiterati tentativi di portarne in Europa la produzione, fermatasi per motivi climatici nelle isole Canarie, ove costituisce una fiorente attività economica: qui da noi gl’inverni sono troppo freddi perché la cocciniglia li possa superare.
Per quanto attinente agli utilizzi nell’industria, l’Opuntia Ficus serve a produrre compost; trova il suo utilizzo nella produzione di adesivi e gomme, nonché di fibre per manufatti ed infine della carta; nel settore della cosmetica viene utilizzata per la produzione di creme umettanti, saponi, shampoo, lozioni astringenti e per il corpo, rossetti.
E dunque? Che aspettiamo a consumare queste autentiche leccornie della natura che rivendica a buon diritto il suo posto nell’ambito della Dieta Mediterranea.
L’unica attenzione semmai è da rivolgersi alle spine al momento di sbucciare il frutto, ma è semplice evitarle. Bastano un coltello possibilmente affilato ed una forchetta: si tagliano le due estremità del frutto precedentemente immerso in acqua, si incide longitudinalmente la buccia, aprendola anche con l’ausilio dei due utensili che si stanno usando; è più semplice farlo che dirlo! Buon assaggio a tutti, ne vale la pena!


magazine.paginemediche.it

Nessun commento:

Posta un commento