Debito Pubblico Italiano

domenica 18 dicembre 2011

Il lavoro è davvero necessario?




Il servizio postale statunitense sembra essere l'ultima vittima del lento ma costante aumento della tecnologia. L'ufficio postale dovrà ridimensionare drasticamente le sue operazioni, o semplicemente spegnerle del tutto. Così 600.000 persone saranno senza lavoro, e 480.000 pensionati di fronte restrizioni di termini contrattuali.
Possiamo incolpare uno di destra che tenta di minare lavoro, o uno di sinistra che cerca di preservare i sindacati di fronte ai tagli aziendali e governativi, ma il vero colpevole in questo caso è l'e-mail.


Le persone inviano -22% di oggetti via posta rispetto a quattro anni fa, optando per il pagamento online.


Le nuove tecnologie stanno devastando l'occupazione, dai pagamenti EZ-pass alle Google car, automobili senza conducente che rendono i comuni taxi obsoleti. Ogni programma nuovo di un computer sta fondamentalmente sostituendo l'uomo in un compito, ma il computer di solito lo fa più veloce, più preciso, più economico, e senza costi di assicurazione sanitaria.
Ci piace credere che la risposta appropriata è quello di formare l'uomo per il lavoro di livello superiore.
Così il presidente Obama va in televisione, e dice che il grande problema del nostro tempo è il lavoro, lavoro, lavoro.
Ho paura di chiedere anche questo, ma da quando la disoccupazione è veramente un problema? Capisco che tutti noi vogliamo buste paga, vogliamo cibo, riparo, vestiti e tutte le cose che i soldi comprano, ma abbiamo tutti voglia di posti di lavoro?
Stiamo vivendo in una economia dove la produttività non è più la meta, ma lo è l'occupazione.


Questo perché fondamentalmente abbiamo praticamente tutto, l'America è abbastanza produttiva che potrebbe alimentare, educare e anche fornire assistenza sanitaria per tutta la sua popolazione, con solo una piccola parte che lavorano.


Secondo la Food and Agriculture Organization, c'è abbastanza cibo prodotto per fornire tutti nel mondo con 2.720 chilocalorie per persona al giorno, nel frattempo le banche americane sono sovraccariche di proprietà pignorate e demoliscono abitazioni vacanti, per ottenere le case vuote per i loro libri.


Il nostro problema non è che non abbiamo materiale a sufficienza, ma che non abbiamo modo sufficiente per permettere alle persone di lavorare e dimostrare di meritare questa roba.


Il lavoro come lo conosciamo oggi è un concetto relativamente nuovo, le persone possono avere sempre lavorato, ma fino all'avvento della società nel primo Rinascimento, molte persone semplicemente lavoravano per loro stesse, producevano scarpe, polli spennati, o creavano valore in qualche modo per gli altri, che poi scambiavano o pagavano per i beni e servizi, dal tardo Medioevo, la maggior parte d'Europa era fiorente ai sensi del presente accordo.
Gli unici che perdevano ricchezza erano gli aristocratici, che dipendevano dai loro titoli, e dal ricavare soldi da coloro che lavoravano per loro.


E così inventarono i monopoli, per legge le piccole imprese che producevano tanto furono chiuse, e la gente doveva lavorare per le grandi aziende, da allora in poi, per la maggior parte di noi, il "lavorare" è divenuto lo scopo per ottenere un "lavoro".


Dell'era industriale in poi le tecnologie, come la catena di montaggio, era meno importante per rendere la produzione più veloce e più economica, e gli operai più sostituibili, in quanto serviva per dare lavoro a chi aveva poche competenze.


Ora che siamo nell'era digitale, stiamo usando la tecnologia allo stesso modo per aumentare l'efficienza, licenziare più persone, ed aumentare i profitti aziendali.
Mentre questo è certamente un male per i lavoratori e sindacati, ma quanto realmente fa male per la gente, non è questo lo scopo della tecnologia? La domanda che dobbiamo cominciare a chiederci non è come possiamo impiegare tutte le persone che sono rese obsolete dalla tecnologia, ma come possiamo organizzare una società intorno a qualcosa di diverso dal lavoro? Potrebbe lo spirito di impresa che attualmente associa il termine "carriera", essere sostituito da qualcosa di più collaborativo, propositivo, e con maggiore significato?


Al contrario, stiamo cercando di utilizzare la logica di negoziare in un mercato di finta scarsità, quando in realtà viviamo nell'abbondanza, ciò che manca non è il lavoro, ma un modo di distribuire equamente il bottino che abbiamo generato attraverso le nostre tecnologie, in un mondo che produce troppo.


La risposta comunista a questa domanda era distribuire tutto in modo uniforme, ma minò la motivazione ed il mercato del lavoro. L'opposto, risposta liberista (e il modo in cui sembrano andare le cose in questo momento) sarebbe quello di permettere a coloro che non riescono a capitalizzare di soffrire, di tagliare i servizi sociali insieme ai loro posti di lavoro.


Ma ci potrebbe essere ancora un'altra possibilità, qualcosa che non si poteva immaginare fino all'era digitale, il pioniere della realtà virtuale, Jaron Lanier ha recentemente ricordato, che non abbiamo più bisogno di produrre cose per fare soldi, possiamo invece scambiare informazioni sulla base dei prodotti.
Iniziamo dichiarando che il cibo ed il riparo sono diritti umani fondamentali, il lavoro che facciamo, il valore che creiamo, è per il resto quello che vogliamo: costituisce la roba che rende divertente la vita, che da un significato.
Questo tipo di lavoro non favorisce l'attività creativa, e a differenza dell'età dell'occupazione industriale, la produzione digitale può essere fatta da casa, in  modo indipendente, anche in una rete peer-to-peer, senza passare per grandi aziende.


Siamo in grado di creare giochi per gli altri, scrivere libri, risolvere problemi, educare e ispirarci l'un l'altro, tutto attraverso i bit invece di roba, e ci paghiamo tra noi usando gli stessi soldi che utilizziamo per acquistare roba vera.


Per il momento, come ci muoviamo per rallentare l'economia mondiale, attraverso la distruzione degli alimenti e demolendo case, potremmo desiderare di smettere di pensare a lavori come il principale aspetto della nostra vita.

Essi possono essere un mezzo, ma non un fine.

sabato 17 dicembre 2011

Alimentazione e malattie

The China Study: il ruolo dell'alimentazione nella genesi delle malattie
di Valerio Pignatta - 16/12/2011

Fonte: il cambiamento

 

The China Study, di T.Colin Campbell e Thomas M. Campbell, è il risultato di uno studio epidemiologico durato 27 anni e finalizzato ad indagare la relazione tra alimentazione e genesi delle malattie. Si tratta di una ricerca che conferma alcune delle tesi fondamentali da sempre sostenute dalla medicina naturale.



the china study
The China Study è il risultato di uno studio epidemiologico durato 27 anni
Dopo molti anni di lavoro dedicato al settore salute e alimentazione di Macro Edizioni e dopo aver visto nascere e fatto circolare molti libri che hanno preparato nella società un 'terreno' fertile e ricettivo a una nuova concezione di salute integrale, è davvero con grande piacere e soddisfazione che ho curato l'edizione italiana di questo testo che è destinato a far parlare di sé molti scienziati, medici e nutrizionisti nei prossimi anni.
The China Study contiene il riassunto di uno studio portato avanti con grande serietà e rigore scientifico per quasi un trentennio da importanti personalità del mondo accademico e istituzionale statunitense e cinese. Esso conferma inesorabilmente il punto di vista sull'alimentazione e sulla salute divulgato dai libri di alimentazione naturale e igienista negli ultimi vent'anni.
Finalmente abbiamo la dimostrazione epidemiologica che un regime dietetico che abusa di proteine animali influisce in modo determinante sulla genesi di molte patologie anche degenerative e gravi come il cancro, il diabete e le malattie cardiovascolari. Anzi. Lo Studio Cina (e altre ricerche prese in considerazione, e a supporto, nel libro) arriva a consigliare un consumo minimo di proteine animali o addirittura la loro completa eliminazione.
Le correlazioni dieta-malattia sono illustrate molto bene nel testo, con tanto di grafici e convenzioni di statistica medica assunte. Un metodo rigoroso assolutamente indiscutibile e che dovrebbe finalmente spingere molti medici e dietologi a discuterne e a prenderne atto. È un testo monumentale che, lo dico subito, ritengo sia stato un dovere pubblicare.
È uno studio di un'ampiezza e una complessità enorme, che sta sollevando un vero polverone intorno alle medicine convenzionali in tutto il mondo.
genetica
La genetica non è il fattore predominante nella genesi delle malattie
Finalmente abbiamo la verifica di alcune delle tesi fondamentali che abbiamo sempre sostenuto:
- la genetica non è il fattore predominante nella genesi delle malattie;
- le speranze della genetica per il futuro ignorano tutto quello di molto più semplice che si può fare già oggi;
- il controllo ossessivo di grassi, carboidrati, colesterolo e omega-3 non dà come risultato una buona salute;
- vitamine e integratori sono d'aiuto ma non possono risolvere tutto da soli;
- farmaci e chirurgia non curano le malattie da cui siamo affetti;
- i medici non sanno esattamente cosa consigliare per rimanere in buona salute;
- un cambio di dieta può indurre guarigione nel diabete;
- solo con la dieta e lo stile di vita si può guarire dalle malattie cardiache;
- il cancro al seno è correlato a una situazione ormonale alterata che è determinata dal cibo che mangiamo
- il consumo di latticini aumenta il rischio di cancro alla prostata;
- gli antiossidanti contenuti in frutta e vegetali sono correlati a una migliore performance mentale nella terza età;
- i calcoli ai reni possono essere prevenuti con una dieta salutare;
- il diabete di tipo 1, quello che insorge nei bambini ed è una delle più devastanti malattie che ci siano, è correlato allo stile di vita e alimentazione dei bambini stessi e non ad altro;
- vari tipi di cancro sono correlati al consumo eccessivo di proteine animali;
- e molto altro ancora.
Si tratta dei risultati di una ricerca, non di una teoria, con 50 pagine di bibliografia scientifica mirata alla dimostrazione pratica di ogni affermazione fatta. Le conclusioni di questo studio, in sostanza impossibile da confutare, se applicate salverebbero milioni di vite umane e ne eviterebbero la sofferenza.
colin campbell
Gli studi di T. Colin Campbell nel settore dell'alimentazione sono cominciati cinquant'anni fa
T. Colin Campbell (l'altro autore è suo figlio che l'ha aiutato nella stesura), Ph.D., è uno scienziato puro (non un medico) (insegna Nutrizione biochimica alla Cornell University) che ha potuto fare questa ricerca solo grazie a fondi interamente pubblici.
I suoi studi nel settore alimentazione sono cominciati cinquant'anni fa. Suo padre aveva una fattoria e lui è stato per anni un nutrizionista che asseriva l'importanza della dieta americana basata su latte, carne e uova. Dopo il dottorato presso la Cornell University è stato per vent'anni in varie Commissioni di ricerca della National Academy of Science per collaborare alla stesura e allo sviluppo di politiche internazionali e nazionali sulla nutrizione e la salute. Direi che è stato molto obiettivo in seguito, dato che mano mano che avanzava nella sua ricerca scopriva che non era vero che le proteine animali fossero così salutari per l'essere umano. Anzi. Oggi asserisce che la sana nutrizione è la vera scienza biomedica del futuro.
Il libro analizza anche le interconnessioni tra case farmaceutiche e salute e i meccanismi con i quali esse influenzano la percezione e la 'cura' delle malattie.
In effetti questo testo è il più importante studio epidemiologico mai realizzato. È uno studio durato 27 anni, realizzato in collaborazione con le università di Cornell e di Oxford e la Chinese Academy of Preventive Medicine e finanziato dai National Institutes of Health, dall’American Cancer Society e dall’American Institute for Cancer Research. Sono stai messi a confronto dati epidemiologici di pazienti americani, nippo-americani e cinesi.
carne
È stato indagato il ruolo dell'alimentazione nella genesi delle patologie degenerative e in particolare delle proteine animali
È stato indagato il ruolo dell'alimentazione nella genesi delle patologie degenerative (cancro, diabete, malattie cardiovascolari ecc.) e in particolare delle proteine animali. Ma sarebbe limitativo vederlo solo sotto questo aspetto. Il testo è una miniera di informazioni sulla salute oggettive, indipendenti e scientifiche di un valore senza limiti e di grande utilità ed efficace utilizzo. Vengono analizzati molti tipi di cancro, malattie delle ossa, dei reni, del cervello, obesità ecc. e il tutto è corredato, come si diceva, da numerosi diagrammi, tabelle e grafici di immediata comprensione.
The China Study è un libro in qualche modo atteso da molto. Atteso da tutta quella frangia di popolazione che ha sperimentato su di sé un nuovo paradigma di salute e alimentazione negli ultimi trent'anni, andando contro la cosiddetta informazione 'scientifica' dominante e seguendo il proprio sentire e una vocazione di umanità, naturalità e semplicità.
The China Study era atteso anche da quella parte di comunità scientifica sensibile ai temi della medicina naturale e biologica che trova qui finalmente conferma della validità della propria 'eresia' scientifica.
Auguro a questo testo una grande diffusione e la forza di penetrare nelle menti di chi ancora ha molti dubbi su alcune semplici verità legate alla correlazione cibo-malattia, che non sono per fortuna brevettabili. Il comportamento di un vero scienziato dovrebbe infatti consistere innanzi tutto nella sua capacità di mettersi in discussione e nell'avere una grande apertura mentale.
Auguro inoltre a chi leggerà questo libro e ha a cuore la salute del pianeta (oltre che la propria!) di trovare la convinzione per mettere finalmente in pratica un nuovo stile di vita che sarà di grande aiuto anche per la risoluzione dei difficili momenti socio-economici e ambientali che ci attendono.

Buona lettura e... rilettura.

mercoledì 14 dicembre 2011

Pane di Castagne


Questa ricetta è dedicata al ricordo di tutti quei briganti per dal 1861 al 1871, guidati dall'immagine di Sua Maesta Maria Sofia di Borbone, continuarono a combattere e a morire per la gloria del Regno delle Due Sicilie.
Dieci anni di guerra civile, come in Afghanistan, come in Sudan, come in Palestina, come per gli Indiani d'America, e come tanti altri Paesi del mondo dove si continua a combattere per difendere la propria identità, le proprie tradizioni, la propria cultura.
I miei amici briganti durante la loro vita da combattenti contro le truppe dell'invasore, continuarono a vivere nascosti nei boschi e spesso erano costretti, per sopravvivere, a cibarsi delle risorse del bosco.
Questa ricetta non l'ho ancora provata, ma vi assicuro che entro domenica questo pane di castagne sarà sulla mia tavola.

Ingredienti per circa 7 panini:
  • 200 g di farina 0
  • 150 g di farina di castagne
  • 3 prese di sale
  • 2 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • 2 cucchiai di miele di castagno
  • 80 g di uvetta
  • 50 g di gherigli di noci ridotte in piccoli pezzi
  • 10 g di lievito di birra (poco meno di metà cubetto)
  • 200 ml di acqua
Se cercate un produttore di farine di castagne, vi assicuro che tra Campania, Basilicata, Puglia, Calabria e Sicilia....avrete l'imbarazzo della scelta. Peccato che la farina di castagne che vendono nella G.D.O. sia tutta importata dai Paesi dell'Est. Io vi indico un produttore a caso http://www.castagne.com/
Ma vi esorto a trovare quello più vicino a casa vostra.

Preparazione: Setacciate insieme le due farine con il sale, poi sciogliete il lievito e lo zucchero nei 200 ml di acqua tiepida ed unite il liquido ottenuto alle farine, aggiungete l’olio ed il miele e lavorate con i polpastrelli fino ad ottenere un impasto morbido ed omogeneo.
Coprite la pasta con della pellicola trasparente e lasciate lievitate per circa 3-4 ore in un luogo tiepido e senza correnti d’aria.
A questo punto, sgonfiate delicatamente l’impasto, incorporate delicatamente l’uvetta (precedentemente ammollata in acqua tiepida e poi strizzata) e i gherigli di noce (oppure le castagne bollite e spezzettate).
Rimpastate velocemente per amalgamare i nuovi ingredienti e formate dei panini da circa 100 g l’uno, incideteli leggermente al centro con una croce e lasciateli lievitare ancora per circa 40 minuti coperti con un telo di cotone, poi infornate in forno preriscaldato a 200 gradi per circa 15-18 minuti.

Lasciate raffreddare su una griglia, per disperdere l'umidità residua anche dal fondo.

Buon appetito.

sabato 10 dicembre 2011

Usurocrazia; per favore ditemi che sto sbagliando!

Sono ragioniere pure io, non sarà una bella cosa, ma questo sporco lavoro qualcuno lo deve pur fare. E come ragioniere mi sono dovuto "bere" tutte le caxxate sparate dal Luigi Zappa e il suo caro compare Fabio Besta, due figli della umiliante "unità di Taglia".
E come tanti miei simili mi sono dovuto bere anche le cosmiche stronxate riferite all'interesse sul capitale.
Numeri e numeretti in grado di portare tanta gente al suicidio. Strano da credersi.

Mentre meditavo sulla funzione dell'interesse sul capitale mi è capitato anche di esaminare alcuni passi del Corano, libro sacro per la religione Islamica.
Al riguardo vorrei sottoporvi un piccolo pensiero pescato in rete.


“PECUNIA NON PARIT PECUNIAM”
L’etica islamica, nella prospettiva che gli è propria fin dalle origini, non fa che sviluppare i princìpi comuni alla civiltà abramica nel suo insieme, volti alla “soddisfazione congiunta dei bisogni materiali e spirituali” . Per esempio, il divieto islamico del prestito a interesse (ribâ) era presente anche nel Cristianesimo antico, quando già nel IV e V secolo i Padri della Chiesa, sia greci che latini, vi si opposero strenuamente, richiamandosi, oltre all’Antico Testamento, allo stesso Vangelo (Lc VI,35). Dice a tal proposito il Corano: “Iddio ha permesso il commercio e proibito l’usura”, e anche: “O voi che credete, temete Dio e rinunciate ai profitti dell’usura, se siete credenti”.
Anche il mondo ellenico classico che, come afferma il Papa, fu elemento essenziale per la costituzione della civiltà cristiana a seguito “dell’incontro tra fede e ragione, tra autentico illuminismo e religione” , vedeva nella moneta solo un mezzo simbolico di scambio, l’unità di misura fra due beni tra loro altrimenti incomparabili, che non poteva a propria volta essere misurata e fatta oggetto di tale scambio e quindi venduta o comprata come fosse a sua volta una merce . “Nella dottrina islamica, come nella critica aristotelica alla crematistica, la moneta in sé deve essere improduttiva. Il denaro deve svolgere soltanto la funzione di mezzo di pagamento e unità di conto” .
I grandi filosofi dell’antica Grecia analizzarono con interesse il problema dell’uso della moneta, evidenziandone soprattutto gli aspetti negativi. Se nella Repubblica Platone esprime una condanna assoluta all’uso improprio del denaro , Aristotele afferma chiaramente che la vera funzione della moneta è quella che si ha nello scambio e non nell’accrescimento mediante l’interesse . La moneta è, per sua natura, “sterile”: Pecunia non parit pecuniam, riporta un detto medievale, “il denaro non genera denaro”.
“INTERESSE” REALE E RESPONSABILITÀ DI IMPRESA
Un risvolto pratico di tale principio riguarda un tema di estrema attualità come quello, oggi molto discusso, della responsabilità di impresa. Il divieto di interesse, infatti, implica, per esempio, che chi presta il denaro sia consapevole dell’utilizzo che ne viene fatto e partecipi ai risultati dell’impresa, tanto negli utili che nelle eventuali perdite. Anche nel caso delle Istituzioni Finanziarie Islamiche (IFI), è comunque necessaria la partecipazione responsabile del credente innanzitutto sul piano delle intenzioni . Vi è chi partecipa con le proprie competenze e con il proprio tempo e lavoro e chi partecipa solo per mezzo delle proprie risorse; entrambi devono però essere uniti nella stessa responsabilità di perseguire una medesima finalità concreta e condivisa.
Anche in questo senso è interessante notare come lo stesso Pontefice affermi che “sempre meno le imprese, grazie alla crescita di dimensione e al bisogno di sempre maggiori capitali, fanno capo a un imprenditore stabile che si senta responsabile a lungo termine, e non solo a breve, della vita e dei risultati della sua impresa, e sempre meno dipendono da un unico territorio. Inoltre, la cosiddetta delocalizzazione dell’attività produttiva può attenuare nell’imprenditore il senso di responsabilità nei confronti di portatori di interessi, quali i lavoratori, i fornitori, i consumatori, l’ambiente naturale e la più ampia società circostante”.
È ormai indubbio che sia sempre più urgente il recupero di una maggiore “fiducia reciproca e generalizzata” negli scambi commerciali, intesa anche da Benedetto XVI come principio cardine sul quale si deve basare il mercato stesso . Anche il divieto di ribâ, interesse, nasce dalla necessità, nella finanza islamica, di legare ogni profitto a una forma reale di lavoro e a rapporti di reciproca collaborazione e fiducia tra gli uomini: si tratta pertanto di un principio spirituale imprescindibile e volto da sempre ad arginare la creazione di un mondo virtuale e parallelo di speculazione “delocalizzata”, che ha raggiunto oggi, nell’esasperazione di certi modelli finanziari basati unicamente sull’interesse, livelli veramente parossistici. Già un anno fa Christine Lagarde, Ministro dell’Economia Francese, nel paese laico per eccellenza, di fronte alla grave crisi generata da un sistema economico al collasso, aveva in proposito dichiarato: “La finanza islamica presenta vari vantaggi, sopratutto perché condanna la speculazione”.
Su queste stesse basi, un altro aspetto fondamentale della legislazione islamica riguarda il divieto di fondare l’economia sulla libera concorrenza, spingendo invece i credenti a edificarla sulla mutua collaborazione. Più precisamente l’Islam ammette la legge della domanda e dell’offerta, ma il capitale impiegato in un affare economico si lega esclusivamente all’acquisto dei mezzi di produzione e agli altri costi vivi per il conseguimento di un successo economico e non alla messa a frutto di interessi o di speculazioni finanziarie. A tale proposito, la collaborazione con i lavoratori, a cui si deve corrispondere un giusto salario, assume un’importanza rilevante, in quanto attraverso la produzione di beni o servizi essi contribuiscono attivamente all’effettivo rendimento del capitale impiegato e al successo dell’operazione imprenditoriale, unico vero “interesse” reale di tutti.

...ma allora perchè dobbiamo versare gli interessi alle banche che ci danno i "nostri" soldi.

Proviamo a fare due calcoli.
Quando un privato cittadino prende i soldi dalla banca (usuraia) cosa fa? Prende soldi e li restituisce aggiungendogli un importo calcolato attraverso una percentuale, per esempio il 5 per cento. Cioè per ogni cento denari dovrà restituirne la ventesima parte più l'importo preso in prestito.

100 al 5% = 100+5 = 105

Fin qua sembrerebbe tutto regolare, ripeto sembrerebbe.
Il signore che ha preso il denaro ci rimette il 5% di quanto ha avuto in prestito. Adesso, però, vediamo quanto ha guadagnato la banca (usuraia).

La banca prende pezzi di carta colorata dalla BCE al 2% (per esempio) e lo presta al 5% (sempre per esempio). 
Secondo voi quanto ha "guadagnato"? Semplice, mi risponderete, ....

......la banca ha guadagnato il 3%!!!!!!! Cioè 5%-2%.

SBAGLIATO

Se io acquisto una merce a 2 e la rivendo a 5 ho guadagnato 3, 
ma non il 3%

Rivendendo ciò che ho pagato a 2 a 5 ho guadagnato (io banca) il

150%

Prendiamo 2, lo moltiplichiamo per 150 e lo dividiamo per 100 e otteniamo

3

La banca che prende denaro dalla BCE al tasso del 2% e lo presta al "povero Cristo" al 5% ha guadagnato il

150%

Questa è l'usura del sistema bancario

Lo stato iTagliano protegge gli "interessi" della banche attraverso la legge. La legge, in materia finanziaria, viene fatta "osservare" dalla Guardia di Finanza (non potrebbe fare altrimenti!).
Ma allora vuoi vedere che la Guardia di Finanza fa gli interessi delle banche? Vuoi vedere che i soldi che noi versiamo per il debito pubblico non sono altro che soldi di interessi a tassi esageratamente usurai. E vuoi vedere che chi difende questa ignominia sono proprio coloro che dovrebbero proteggere gli interessi di un popolo?

Ribaltiamo la situazione al "povero Cristo"
Ritorniamo all'esempio del "povero Cristo".
Nel momento in cui ha preso i soldi "a interesse" dalla banca (usuraia), lo ha fatto per acquistare una merce che avrebbe rivenduto con il guadagno del 20%. Nulla di speciale: una partita di patate novelle.
Se un amico gli chiede soldi in prestito, secondo voi a che "tasso" deve prestarli?
Se mi dite al 20% vuol dire che "commercialmente" è esatto. Se, però, presta quel denaro al 20% il nostro "povero Cristo" è un usuraio.
....ma lo stesso denaro è stato prestato dalla banca con un guadagno del 150%.

La nascita al mondo

Davvero non immaginavo un titolo migliore per questo filmato che ho trovato in uno dei miei siti preferiti.
Vi lascio alla visione di questo breve quanto intenso filmato che racconta la nascita al mondo. Poi vorrei chiedervi: cosa c'è di più bello al mondo della nascita di un figlio?


lunedì 5 dicembre 2011

Per alcuni sono spine, per noi sono Fichidindia.

I fichi d'India



I fichi d’India, o anche fichidindia, in linguaggio scientifico Opuntia Ficus Indica, sono prodotti da una pianta per noi tutta particolare, appartenente alla famiglia delle Cactacee, che come rami ha i cladodi, le pale, foglie carnose, irte di spine che si sovrappongono dando origine ad un arbusto, nel quale i rami sono costituiti dai cladodi stessi, che sviluppano anche la fotosintesi clorofilliana, vicariando in realtà la funzione delle foglie, che poi sono le spine, ed anche il tronco è costituito da cladodi basali legnificati dopo il quarto anno della pianta.
L’habitat originario era il Messico da cui tali piante, in epoca ancora precolombiana, erano state già diffuse anche in America Centrale. Le coltivavano già e ne facevano commercio gli Aztechi, considerando le piante e relativi frutti non solo di forti valori simbolici ma anche di grande importanza come alimento basilare della loro dieta: lo attesta il Codice Mendoza nel quale si afferma altresì l’importanza commerciale dell’Opuntia, allora come ora, indispensabile per la produzione del carminio, anch’esso elencato tra i beni commercializzati dalle medesime popolazioni.
In epoca successiva, ma sempre precolombiana, la diffusione si ebbe anche in America Meridionale: non è dato sapere quando ma lo si deduce dal fatto che gl’Incas lavorassero il carminio, la cui produzione ancora oggi è strettamente correlata all’Opuntia.
Queste cactacee fra la fine del 1400 e gl’inizi del 1500 furono importate in Europa sia da Cristoforo Colombo che da altri navigatori immediatamente successivi. La prima descrizione dettagliata risale al 1535 ad opera dello spagnolo Gonzalo Fernandez de Oviedo y Valdès, mentre Linneo nel 1753 ne descrisse due differenti specie: Cactus Opuntia, e Cactus Ficus-Indica; Miller nel 1768 definì la specie Opuntia Ficus-Indica, come ufficialmente viene denominata a tutt’oggi.
Queste varietà di piante, come molte altre cactacee, attecchiscono bene e dovunque, per talea o per semina; per assicurarne la riproduzione è sufficiente interrare parzialmente una o due pale tratte dalla pianta madre; un po’ di acqua è richiesta nella sola fase iniziale; temono soltanto le basse temperature. Anzi, a voler essere precisi, esse attecchiscono e si diffondono fin troppo, entrando a far parte del paesaggio, come in Sicilia e a Malta, persino modificando lo stesso.
E' stata proprio quest’ultima motivazione ad indurre alcune regioni a limitarne la coltura che in Toscana è stata semplicemente vietata per effetto di una legge regionale.
Proprio in Sicilia infatti non è strano vedere, anche come limiti di poderi o barriere frangivento, lunghissimi filari di fichi d'India che vegetano da soli, non necessitano di cure da parte degli uomini né tampoco di interventi chimici: e questo particolare è di grande importanza, trattandosi dell’unico frutto che non sia mai sottoposto a trattamenti chimici; per migliorare la resa è sufficiente una concimazione fosfo-potassica, preferibilmente organica.
In cima alle pale, a tempo debito, fioriscono i caratteristici fiori di colore giallo o arancione da cui si sviluppano i frutti, a botticella, ovoidali di forma, di color giallo o rosso o bianco o senza semi in base alla varietà, munititi di spine, i quali in fondo portano un’aureola di piccole spine, mentre la polpa, succosa e piena di vitamine, contiene numerosi semi legnosi.
Anche per la raccolta non c’è niente di tecnologico: si usano ancora i vecchi 'coppi' come al tempo dei nonni e degli altri avi. Nutrizionalmente parlando, il frutto contiene fosforo, calcio, Vitamina C e la polpa fresca è oltremodo ricca di zuccheri quali fruttosio, glucosio e saccarosio.

Ecco in sintesi, per concretezza di discorso, la Tabella dei Valori Nutrizionali considerata su un campione di 100 gr, tratta dall'Istituto Nazionale di Ricerca per gli Alimenti e la Nutrizione - INRAN:

AcquaProteineLipidiCarboidratiFibraEnergiaSodioPotassioFerroCalcioFosforoVitamina C
g g g g g g Kcal mgmgmgmgmg
Fichi d'India 83,2 0,8 0,1 13 13 5 53 1190302518

In molte zone del Meridione, i fichi d'India vengono consumati freschi, come frutta di stagione, dopo che sono stati sbucciati e in Sicilia, al tempo della vendemmia, si accompagnano o si accompagnavano al pane in gustose colazioni e merende: l’accompagnamento è d'obbligo per evitare l’effetto tappo causato dai semi.
E' questo forse il punto dolente da chiarire: i fichi d’India come frutta vanno consumati in modeste quantità per volta, onde evitare la formazione di tappi dopo l’assorbimento della polpa.
Con la polpa concentrata e privata dei semi, specialmente in Sicilia, si prepara uno sciroppo, simile a quello di acero, da utilizzare nella preparazione di dolci tipici; e succhi simili con finalità similari vengono preparati anche in altre regioni. Né si può sottacere la 'sapa' di fico d’India, specialità sarda a base di succo cotto preparato anche con aggiunta di buccia d’arancia e di finocchio selvatico, usata un tempo dalla povera gente per inzupparci il pane ed oggi come ingrediente per la preparazione di dolci tipici o come sostitutivo della sapa di mosto.
Ultime, ma non per importanza sono le marmellate, mostarde, gelatine, gelati, dolcificanti e quanto altro. Ed anche le bucce trovano la loro utilizzazione: opportunamente ripulite e private delle spine, infatti, vengono lavorate nella creazione di creme liquorose e liquori, come ad esempio il 'nanassino', specialità tipica campana simile al 'ratafià', ottenuta anche in casa macerando le bucce in alcool, come anche alcune altre specialità di liquori siciliani.
E nel mondo contadino tutto torna utile, non si butta niente. Anche i cladodi trovano la loro applicazione: in Campania, oltre che per la pacciamatura, sono tradizionalmente utilizzati in zootecnia come foraggio di alcuni animali. In una cultura più mediterranea che italiana le pale giovani sono consumate fresche, sott’aceto, sott’olio, candite.
In Messico e in California, che poi sono le zone d’origine dei fichi d'India, anche la cultura culinaria è diversa: i frutti e le pale giovani, ripuliti delle spine, sono affettati e consumati arrostiti oppure conditi o anche fritti nel burro e accompagnati con formaggio; ma nella cucina di quelle zone vari sono i piatti che per materia prima hanno questi frutti.
In tema di proprietà terapeutiche è opportuno ricordare che in tempi pregressi i fichi d'India, per la loro ricchezza in Vitamina C, atta a prevenire lo scorbuto, venivano imbarcati sulle navi come frutta ad uso e consumo degli equipaggi; anche a tale consuetudine è dovuta la loro rapida diffusione nel bacino del Mediterraneo, non escludendo l’azione degli uccelli che, mangiando i frutti, andavano disperdendone i semi.
Oggi i frutti sono utilizzati come alimento con funzione astringente per la presenza dei semi, o lassativa, utilizzando il solo succo. Importanti sono altresì le funzioni depurative, anche a livello epatico, nonché quelle diuretiche: si facilita la diuresi favorendo nel contempo l’eliminazione dei calcoli renali; né di poco conto è l’impiego come rimedio alle scottature; eccellenti si rivelano poi le proprietà antiossidanti, molto efficace è l’estratto di fico d'India nella cura dei postumi della intossicazione alcolica. Recenti studi ne hanno evidenziato, infine, anche la possibilità di utilizzazione nel trattamento del diabete e del colesterolo.
Tanto premesso, però, per la presenza dei semi è opportuno che le persone sofferenti di stipsi o di diverticolosi intestinale si astengano dal consumo di questi frutti o ne limitino l’uso al solo succo.
I cladodi macerati vengono usati per alleviare mal di testa, mal di denti, lesioni degli arti e contusioni ma molti sono i preparati per alleviare un rilevante numero di malanni. I giovani cladodi infatti, riscaldati al forno, sono utilizzati come emollienti, applicati sotto forma di cataplasmi. Nella cultura contadina siciliana, secondo un antico rimedio, si applica la polpa dei cladodi direttamente su ferite o su piaghe con risultati antiflogistici, riepitelizzanti e cicatrizzanti.
Fiori, frutti e cladodi spesso, dunque, vengono utilizzati nelle ricette della medicina alternativa per la cura sia degli uomini che degli animali; il decotto di fiori vanta sempre le sue proprietà diuretiche.
Nel mondo industriale, come già al tempo degli Aztechi e degl’Incas, i cladodi costituiscono la base di allevamento del Dactylopius Coccus, la cocciniglia che parassita le pale, da cui si ricava quel pregiato colorante naturale che è il carminio. A niente purtroppo sono valsi i reiterati tentativi di portarne in Europa la produzione, fermatasi per motivi climatici nelle isole Canarie, ove costituisce una fiorente attività economica: qui da noi gl’inverni sono troppo freddi perché la cocciniglia li possa superare.
Per quanto attinente agli utilizzi nell’industria, l’Opuntia Ficus serve a produrre compost; trova il suo utilizzo nella produzione di adesivi e gomme, nonché di fibre per manufatti ed infine della carta; nel settore della cosmetica viene utilizzata per la produzione di creme umettanti, saponi, shampoo, lozioni astringenti e per il corpo, rossetti.
E dunque? Che aspettiamo a consumare queste autentiche leccornie della natura che rivendica a buon diritto il suo posto nell’ambito della Dieta Mediterranea.
L’unica attenzione semmai è da rivolgersi alle spine al momento di sbucciare il frutto, ma è semplice evitarle. Bastano un coltello possibilmente affilato ed una forchetta: si tagliano le due estremità del frutto precedentemente immerso in acqua, si incide longitudinalmente la buccia, aprendola anche con l’ausilio dei due utensili che si stanno usando; è più semplice farlo che dirlo! Buon assaggio a tutti, ne vale la pena!


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